Continua il racconto del Maresciallo Gigi Arnaudi all’amico Mario Soldati. I ricordi di un’Italia in buona parte scomparsa.
Gigi si guardò intorno. Le vecchie sale, una dopo l’altra, divise dagli archetti e dalle colonnine, erano deserte. Il neon bluastro e funebre splendeva sulle tovaglie sparecchiate. Là in fondo, al buio, come in un antro, tremolava gracidando il quadretto argenteo di una televisione che pareva prossima a spegnersi, non diversamente da un fuoco moribondo in un caminetto. Il padrone e due clienti, seduti dinanzi, col mento sul petto, sonnecchiavano. Non potevano certo udire. Ad ogni buon conto, Gigi abbassò la voce:
«Era d’inverno. Con un freddo polare. Giorni come adesso. La terra coperta da una crosta di brina indurita. I canali di ghiaccio. Con quel tempo, sai com’è, si mangia, si beve, e si dorme di più. Sempre, beninteso, se il Servizio lo permette…»
(Nota per il lettore. Ho scritto Servizio con la maiuscola non per un capriccio: ma perché così Gigi pronuncia questa parola, che per lui è sempre stata la più sacra di tutte, compresi alcuni nomi che oggi non hanno più senso.)
«E siccome, quel giorno, si vede che il Servizio me lo permetteva, avevo mangiato, bevuto, fumato: e alle cinque del pomeriggio dormivo ancora della grossa…»
(Altra nota. Della grossa: è Gigi che parla così. Le sue espressioni esatte, fatte, antiquate, appartengono a tutto un mondo, che per noi è morto e sepolto, ma per lui no. Conseguenza, senza dubbio, di una vita quasi interamente trascorsa in campagna, borghi o paesi della Valle Padana. Da poco tempo soltanto, Gigi è stato trasferito in una grande città di provincia. Ma conseguenza, anche, del suo mestiere: che, quando uno lo fa sul serio, finisce sempre per isolare dagli altri, per fissare in un tempo che non trascorre, il tempo ideale della giustizia: e quasi per chiudere nella campana vitrea dell’imparzialità obbligatoria e professionale, e nello stile dei verbali e delle deposizioni.)
«Dormivo. Mi sveglia il piantone: c’è una telefonata urgente dalla pompa di benzina sulla strada di Adria. Hanno trovato, a qualche chilometro, una macchina rovesciata, giù dall’argine. Ci sono tracce di sangue, ma la macchina è abbandonata. Dai documenti, risulta che appartiene… appartiene… il nome non lo posso dire, neanche a te. Ma insomma, è una persona molto nota nella zona, e che io stesso conosco benissimo: un piccolo industriale, padrone fra l’altro di una bella distilleria. Età, quarantacinque, cinquanta. Intelligente, istruito, lavoratore, e insieme simpatico, un buontempone. Devoto alla famiglia, due ragazzini ancora in tenera età, e alla moglie, che adora. Ha un solo difetto, a quanto si mormora. Si mormora, bada bene: perché a me non risulta che abbia mai dato motivo di scandalo. E quando non c’è scandalo, per me, quel difetto non è più un difetto: sono franco: è, anzi, una prova di vitalità, di generosità, e di tante altre belle cose. Gli piacciono molto le donne. (continua)
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Mario Soldati e l’amicizia ne “I racconti del Maresciallo” (1967)
Mario Soldati: “I racconti del Maresciallo” (3)
Mario Soldati: “I racconti del Maresciallo” (4)
“Della grossa: è Gigi che parla così. Le sue espressioni esatte, fatte, antiquate, appartengono a tutto un mondo, che per noi è morto e sepolto, ma per lui no. Conseguenza, senza dubbio, di una vita quasi interamente trascorsa in campagna, borghi o paesi della Valle Padana.” Come in altre opere, Soldati descrive un’Italia che stava scomparendo per effetto del miracolo economico.
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