“Voglio bruciare tutto. Sì, brucerò tutto, e nel fumo che sale al cielo vedrò danzare – finalmente – la mia libertà.”
Che qualcuno ci provi, a far politica, è commovente. Nessun sarcasmo: “commovente” è la parola giusta. La politica è commovente, e commovente è chi fa politica, dal primo dei capipopolo all’ultimo dei traffichini. E’ il frettoloso malanimo degli sceneggiatori di fiction, o il moralismo strappapplausi dei giornalisti, a rappresentare il potere come un luogo sordido e guasto, ma non è più sordido e guasto di tutto il resto. E’ solo più esposto.
Attilio Campi, ex-deputato uscito malconcio dal mondo della politica, lascia la città e si ritira in un piccolo villaggio tra le montagne. Dei molti residui della sua esistenza anteriore, alcuni affiorano in modo persistente: oggetti ricevuti in eredità dalla madre e da una zia e un conflitto non risolto con un antico avversario. Da tale zavorra fisica e morale, il protagonista vuole liberarsi dando fuoco ai ricordi, ma anche stemperando la propria arroganza e apprendendo una nuova umiltà.
In una narrazione ricca di autoironia, Michele Serra (Roma, 1954) si colloca agli antipodi dell’idea vigente del successo e, attraverso le pause filosofico-riflessive del suo personaggio, si interroga su cosa sia realmente essenziale nella vita. Tra le nuove consapevolezze di Attilio, una delle più immediate è lo spazio:
E dunque via, all’aperto, chiusa la porta di casa e spalancata quella della Terra. La porta di casa, in campagna, è un confine vero e drammatico, non come le blande porte di città che separano appena scatola piccola da scatola più grande. La porta della casa di campagna separa i protetti luoghi dell’abitare dall’immenso spazio e dall’immensa luce.
Poi, il susseguirsi delle stagioni permette ulteriori scoperte:
Non avrei mai immaginato, fino a quando sono venuto ad abitare qui, che l’acqua e il fuoco fossero così determinanti nella vita degli uomini. Basta sbucciare appena l’involucro tecnologico che ci imbozzola per scoprire che il nocciolo del reattore è ancora immutato, nei milioni di anni. Il motore del mondo è sempre quello, una manciata di relazioni tra gli elementi. E quello tornerà quando, passata la guerra devastante che sta per arrivare, si dovrà ripartire – se saremo ancora vivi – da ciò che diamo per scontato, e che ci sembra niente. E che invece è quasi tutto: il caldo, il fresco, il cibo, la buona salute, una porta chiusa. (continua)

“Voglio bruciare tutto. Sì, brucerò tutto, e nel fumo che sale al cielo vedrò danzare – finalmente – la mia libertà.” E perché no?
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