Ne I racconti del maresciallo, Mario Soldati (1906-1999) immagina di ascoltare la narrazione di ‘casi’ dalla voce dell’amico e compaesano torinese Gigi Arnaudi, maresciallo dei Carabinieri. Qui “Il ricordo”
Lunedì sera tardi, alle Tre Ganasce, nella città dove lui, ora, comanda la Compagnia Giudiziaria, ho cenato con il mio vecchio amico, paesano e coscritto Gigi Arnaudi, maresciallo dei Carabinieri.
Come sempre, quando ci rivediamo (ci rivediamo, purtroppo, così di rado), il discorso erra, sfiorando uno dopo l’altro tutti gli argomenti di interesse comune: le nostre rispettive famiglie, gli amici, il lavoro, la politica, il vino, lo sport… Questa volta, forse a causa di un giornale della sera che un cliente ha dimenticato sul tavolo accanto, grossi titoli e fotografia in prima pagina, finisco per lamentarmi del progressivo e apparentemente inarrestabile aumento degli incidenti automobilistici. Lamenti ovvii, da buon papà, da buon borghese, e in un caffè di provincia. Ma provo tanta dolcezza, a sentirmi borghese, quando sono in compagnia del mio Gigi!
E del resto, borghese? Faccio una constatazione improvvisa, e forse ovvia a sua volta: una riflessione che però non dico a Gigi, e tengo per me. Ecco: nei paesi più progrediti del mondo occidentale, di fronte all’impressionante fenomeno del neocapitalismo, o, direi meglio, del neofeudalesimo industriale, che differenza c’è ancora tra borghese e proletario? Dunque: da noi, il maresciallo dei Carabinieri, pur restando soprattutto un difensore dell’ordine, non ha, forse, cambiato colore senza che ce ne siamo accorti? A meno, sventuratamente, che lo Stato perda la sua battaglia con i grandi feudatari.
Ma io sono ottimista. Penso che si troverà un sistema per uscirne. Così come si inventerà qualche meccanismo elettronico, qualche diavoleria che impedisca alle auto di urtare tra di loro o contro un ostacolo.
Questo lo dico, a Gigi. E vedo che lui pensa ad altro. Forse non ha neanche udito ciò che ho detto. I suoi occhi celesti e severi, negli occhiali cerchiati d’oro, fissano un punto astratto, oltre le due bottiglie nere di Val Tidone. Si gratta la testa bionda e spelacchiata. Dice:
«A proposito di incidenti automobilistici, ti ho mai raccontato di quel fatto che mi è successo anni fa, quando ero ancora a C.?» C., grosso borgo del Polesine, dove Gigi era maresciallo, e dove ero anche andato a trovarlo: ah, quei pranzi a base di anguille! No, non mi aveva raccontato. Almeno, non ricordavo. (continua)
Leggi anche:
Mario Soldati: “I racconti del Maresciallo” (2)
Mario Soldati: “I racconti del Maresciallo” (3)
Mario Soldati: “I racconti del Maresciallo” (4)
Su quest’opera, il saggista e critico letterario Cesare Garboli (1928-2004) ha scritto: “Si mangia, si beve, e si racconta. Soldati intinge brillantemente la sua materia gialla in questa saporosa e cordiale zuppa di conversazioni familiari, rinunciando di proposito a modi polizieschi, di tale of terror o anche di novella criminale.”
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