La campagna senese nelle pagine di Federigo Tozzi (1883-1920)

La campagna senese nelle pagine di Federigo Tozzi (1883-1920), che nel romanzo autobiografico Con gli occhi chiusi offre immagini intense, pari al paesaggio interiore del protagonista.

La scrittura di Federigo Tozzi (Siena 1883 – Roma 1920) fu in buona parte autobiografica. Il suo romanzo Con gli occhi chiusi presenta il forte conflitto col padre, la perdita della madre ed il disagio interiore di Pietro Rosi, protagonista ed alter-ego dell’autore, di fronte alla vita e alle scelte che essa impone. Sia il personaggio che lo scrittore si orienteranno verso un idealismo di tipo socialista. Riproponiamo qui alcune pagine del romanzo che descrivono la campagna senese, sfondo contro il quale si svolgono tanto il dramma di Pietro quando quello di Federigo.

La strada da Siena, dopo essere discesa fin giù ad un torrente dov’è un mulino, sale in mezzo a linee contorte e raggomitolate di colli che s’assomigliano e della stessa dolcezza, con i filari delle viti tra i muriccioli a secco, di sassi, con le fattorie dietro i cipressi, con qualche campanile così lontano che dopo una voltata non si vede più. E di mano in mano che la strada s’aggira, quasi tormentandosi della sua lunghezza, impaziente, si fa sempre più silenziosa; e le campagne più aride e solitarie. Vi sono poggi con cime piane, lastricate di pietre, sterpigne: qualche croce, fatta con i pali delle viti, talvolta abbattuta, in proda a una scorciatoia per i contadini e per le bestie. Boschi di querci, ma radi; e, tra il fogliame, si vedono prominenze e insenature di altre colline, scoscendimenti ripidi e a un tratto pianeggianti, con tre o quattro facce che si attaccano a ondulazioni di prati, a ripiani di terra rossastra, a balze.

Dopo Fonterutoli, un villaggio come un angolo di case, con quattro botteghe, la strada si fa ripidissima; e riesce ad esser più alta che altrove. Talvolta tutto un pezzo di bosco appare quanto è largo, e un uccello vi passa sopra; da un doccio, il solo che è per quella strada, vecchio e sbocconcellato, scroscia l’acqua dentro un abbeveratoio massiccio. Il silenzio di quei boschi, le lunghe ore di seguito! È uguale a quello delle pietre aggavignate dalle radici degli alberi. Ma quando il vento soffia da dove gli altri monti doventano quasi diafani, gli scontorcimenti delle fronde impauriscono, strepitando e sibilando: ogni fronda, ristrettasi
accostando insieme le foglie, quando si riapre per tutto il bosco è un tremolio che s’attenua, accompagnato da qualche suono, che sbalza da un punto all’altro, flebile e melodioso. I ramicelli si schiantano, le foglie sbattono su le pietraie; gli uccelli volano qua e là come portati dal vento. Nel temporale tutte le querci si piegano insieme, con sforzo, per abbassarsi. Le nuvole si fermano sopra, quasi si mettessero a guardare; e par che né meno il vento riesca a smuoverle. Talvolta sono immobili le querci, e allora le nuvole passano.

La strada, dopo il villaggio, si volge a gomito, in salita, come una fetta bianca tra due spianatine di verde; poi, all’improvviso e dritta, precipita per più di un chilometro, tagliata tra i macigni; e allora si vede giù tutta la Castellina. E in quel punto, a destra, seguitano altre colline poco più alte. Mentre, a sinistra, sono sempre più
basse fino alle pianure della Val d’Elsa; con i paesi che sembrano piccole macie; poi cominciano la Montagnola e Montemaggio; e dietro a loro si stendono altre file di monti, che a vederli di lassù sono uguali alle nuvole lontane. Ci si imbatte, quasi sempre, in un branco di pecore, che attraversano lo spazio dove non sono piante
e si rimboscano dall’altra parte, trotterellando. Oppure scendono giù per una viottola, l’una dopo l’altra; come si buttassero con il capo in avanti; e il peso della prima le traesse dietro tutte. Quanti carri verniciati di rosso, con i bovi; e sopra, per lo più, i contadini a coccoloni per stare più comodi!

Qualche automobile, proprio delle prime, faceva affacciare alla finestra e agli usci quelli che erano in tempo, meravigliati che passasse tra loro come se non ci fossero né meno stati; poi si scambiavano il solito sguardo e tornavano alle faccende. Che fretta! Le donne, che avevano i bambini a raspare la terra, quasi in mezzo alla strada, gridavano imprecando.

Tratto da Con gli occhi chiusi, di Federigo Tozzi (Garzanti, 2002)

2 risposte a "La campagna senese nelle pagine di Federigo Tozzi (1883-1920)"

Add yours

Lascia un commento

Sito web creato con WordPress.com.

Su ↑

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora