Uno degli effetti della pandemia è stata la scomparsa degli spettacoli teatrali dal vivo. Rendiamo omaggio al teatro cosiddetto “minore” attraverso le parole del saggista e critico Goffredo Fofi (Gubbio, 1937), che a giorni compirà 84 anni.
Uno degli effetti della pandemia è stata la drastica riduzione, quando non la scomparsa, degli spettacoli teatrali dal vivo: come per altre categorie di attività, anche in questo caso la chiusura dei teatri ha causato la perdita di migliaia di posti di lavoro e l’aumento della povertà per quelle famiglie che al teatro vedevano legata la loro sopravvivenza. In attesa di poter riprendere questa parte importantissima della vita culturale italiana, rendiamo omaggio al teatro nella sua veste “minore”, dunque più povera, attraverso le parole del critico teatrale e cinematografico Goffredo Fofi (Gubbio,1937), che a giorni compirà 84 anni. A lui, come a tutte le persone anziane in Italia e nel mondo, auguriamo un esito felice dell’esperienza con il Covid19.
… il comico e l’epico nelle loro molte forme e varianti, entrambe trovano nel teatro minore il loro nucleo originario o la loro ispirazione…
Goffredo Fofi
Di dove viene il fascino che accompagna le vecchie fotografie del teatro “minore”, i ricordi e le autobiografie degli attori, l’occasionale sguardo su qualche canale televisivo secondario a un film che riproduce momenti e “numeri” del café-chantant della rivista, l’occasionale ascolto alla radio di una vecchia canzone orchestrata alla moda di un tempo, con le voci alla moda di un tempo? Anche se di quel tempo non siamo stati testimoni, anche se”non c’eravamo”, anche se non ci riporta a “come eravamo” e non possiamo associarvi una nostalgia legata a fasi passate della nostra vita, alla nostra infanzia e adolescenza?
[…] La vita quotidiana delle passate civiltà -documentabile solo attraverso cento mediazioni, e che tuttavia è la storia, l’unica che ci possa veramente coinvolgere emotivamente perché in essa possiamo verificare la nostra somiglianza e la nostra distanza di comportamenti, di valori, di modelli- ci è più comprensibile attraverso, per esempio, i testi del teatro comico che non quelli del teatro tragico, più attenti i primi a ciò che costituisce il succo immediato di un presente e del comune districarsi in esso, dei comuni punti di sotterraneo riferimento che consolidano il comune agire e gli danno la loro particolare aura. I modi di divertirsi finiscono per dirci più che i modi di soffrire, anche quando in essi la maschera è più spessa, dipinta, deformata. O forse proprio per questo.
Ma c’è inoltre il fascino stesso del teatro, ad agire. Circondati come ormai siamo da immagini, fisse o in movimento, ma comunque riprodotte e meccaniche, l’emozione che proviamo a un levarsi di sipario, al suono di un’orchestra che dopo flebili accordi attacca in forza, al placarsi sospeso del movimento in una sala che si fa buia e all’inizio del movimento su una scena super illuminata, ci introduciamo magicamente in un contesto vivo, dove il rapporto tra chi assiste e chi recita ha la virtù dello scambio fisico tra platea e palcoscenico, assente alla Tv come al cinema. […] La platea del cinema, ipnotizzata e sognatrice, esclude ed escludeva la possibilità dello scambio. Il cinema è autoritario, il teatro, e in particolare il teatro “minore”, no, sia nel café-chantant, dove lo scambio tra attore e spettatore era il più diretto possibile, sia nell’avanspettacolo e nella rivista. Il teatro “minore” ha sempre avuto, finché ha potuto resistere, il vantaggio sull’altro di un pubblico che gli corrispondeva, nei comuni moventi di una cultura e delle sue fantasie.
Da subito, questo pubblico è stato soprattutto sottoproletario o piccolo-borghese; il proletariato, la borghesia, si sono accostati al teatro minore con cautela, e con un misto di attrazione e repulsione. Questo teatro ha rappresentato cioè le ambiguità e le “volgarità”, assai diverse tra loro, degli strati sociali meno definiti e più incerti nella loro cultura e nella loro definizione di classe. Non è un caso se le sue forme più povere e ardite hanno avuto vita e umori soprattutto periferici, e sono state più napoletane e romane che non torinesi o milanesi, mentre il passaggio dal povero al ricco, dalla baracca e dal teatrino al café-chantant e alla grande sala è stato nazionale.
[…] Sono dunque gli strati del maggiore disagio – tra la cultura della sopravvivenza e della lotta per la vita e l’incertezza di uno status sempre labile e sempre rimesso in discussione – a offire al teatro minore il suo pubblico, differenziato eppure, contraddittoriamente, con qualcosa di simile. […] I temi della comicità e quelli dello spettacolo si ripetono, imperturbabili,fino ai primi anni Sessanta: la lotta per la vita, la fame, l’intrico di molteplici frustrazioni. Il comico ha temi pressoché fissi, e il contorno (le sciantose, le ballerine) rimanda a un’altra fame e aun’altra frustrazione, quella sessuale. Dei sensi, comunque. Questa “volgarità” è diretta, scoperta, senza mistificazioni e senza orpelli. Lo specchio dello spettacolo non deforma e inganna, e tuttavia mai un pubblico è stato più esigente di questo. Esso ha chiesto, nella continuità, sempre nuove varianti: novità fittizia, ma varietà e rinnovamento necessitati.
[…] Piacere è un dovere. Se il pubblico si agita, rumoreggia, non ride, non applaude o, peggio ancora, fischia, se il numero non funziona, se la canzone o il balletto non piacciono, bisogna correre ai ripari. L’esame è spietato, le bocciature difficilmente rimediabili. E non è che i “tempi” siano più laschi e molli che nella prosa, alcontrario. Solo, vanno inventati dentro lo spettacolo, ricostruiti volta per volta, elaborati e fissati alla prova del loro successo. Il testo conta relativamente: può e deve essere modificato dall’intervento dell’attore e, in definitiva, del pubblico.
[…] A questa scuola sono nati i grandi attori che riconosciamo a tutt’oggi grandi. Le due sole dimensioni praticabili e sensate, necessarie, nel teatro del nostro secolo (almeno fino all’avvento delle avanguardie, motivate dall’essere espressione di nuovi soggetti sociali), il comico e l’epico nelle loro molte forme e varianti, entrambe trovano nel teatro minore il loro nucleo originario o la loro ispirazione, e se per il comico non serve dimostrarlo basti, per l’epico, pensare al ricorso degli insegnamenti del teatro minore che autori così diversi come un Brecht o un Majakovski […] hanno fatto propri, nel loro sforzo di distruzione delle forme del teatro borghese.
Tratto da Storia del teatro minore (1980), pubblicato per la prima volta come prefazione a Follie del Varietà. Vicende memorie personaggi 1890-1970, a cura di Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somaré, Feltrinelli, Milano1980. Qui riedito ne I limiti della scena (Linea d’ombra, Milano 1992).
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