Il furto della Divina Commedia, giallo ameno di Dario Crapanzano, cita l’opera di Dante nel titolo. Eppure le indagini dell’ispettore Lorenzi se ne allontanano. Abbiamo voluto colmare la lacuna dedicando la sessione alla figura di Dante Alighieri (1265-1321), il grandissimo poeta padre della nostra lingua, della cui morte si celebrano ora i 700 anni.
Pur trattandosi di un giallo, Il furto della Divina Commedia di Dario Crapanzano (Milano 1939-2020) non riserva misteri. Alcuni l’hanno trovato piacevole, altri scontato: dell’opera si parla solo nel titolo, e il pregio di Crapanzano consiste forse nell’offrirci pagine facili dopo le letture più impegnative dei mesi scorsi. In questo libro leggero -quasi una parodia del poliziesco come genere letterario- la storia si svolge in una scuola della Milano degli anni ’50 con le caratteristiche dell’epoca: l’ispettore Fausto Lorenzi infatti ascolta la radio e non la televisione, non ancora diffusa nelle case degli italiani. Al preside della scuola, il Professor Michele Esposito, collezionista di incunaboli, viene misteriosamente sottratto un raro esemplare della Divina Commedia recentemente acquistato, e toccherà a Lorenzi risolvere il caso. Nelle indagini dell’ispettore, però, il capolavoro di Dante non viene più citato, preferendo forse Crapanzano, scomparso nel 2020, lasciare il lettore a dgiuno e invogliarlo a studiare.
Nella sua semplicità, Il furto della Divina Commedia offre infatti l’occasione di parlare del capolavoro cui fa riferimento, la Comedia di Dante Alighieri (1265-1321), della cui morte si celebra quest’anno il 700o anniversario: il mondo accademico, quello editoriale (fino ai Manga), nonché la comunità delle lettrici e dei lettori di tutto il mondo ricorda un autore visionario, in molti sensi precursore dei tempi.
Anche noi abbiamo rievocato il viaggio poetico di Dante. Travolto dalle vicende politiche, esiliato da Firenze, solo e privo di tutto ciò che ha amato, nella Divina Commedia Dante compie un profondo percorso interiore, la cui genesi si trova in un’opera precedente: Vita Nova. Qui infatti, dopo la morte di Beatrice, l’autore dichiara che non parlerà più della donna amata finché non troverà la forma più consona per farlo.
Tale forma sarà la Comedia le cui terzine, simboleggianti la santissima trinità, sono racchiuse nelle tre cantiche di cui si compone il poema:Inferno, Purgatorio e Paradiso. Per Dante, il viaggio di auto-esplorazione, espiazione e redenzione comincia un venerdì santo: è l’anno 1300, e il protagonista si trova in una profonda notte dell’anima da cui prende avvio una drammatica discesa nel mondo della sofferenza e della dannazione che lo aiuterà a purificarsi e ad ascendere fino al sommo bene.
In questo monumentale progetto, che è anche una straordinaria messa in scena a beneficio del lettore, Dante veste i panni del suo alter-ego, il penitente-pellegrino, e in compagnia del maestro Virgilio incontra le anime di personaggi di cui via via ascolta la storia. Allo stesso tempo, il Dante-autore dialoga con noi che seguiamo i suoi passi: Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ci dice nel Purgatorio (Purg., viii, 19). È infatti sua precisa convinzione che, se leggiamo con cura il suo racconto, se lo viviamo come uno spettatore può vivere, trasferendolo su di sé, il dramma rappresentato sulla scena, anche noi potremo superare l’oscurità ed emergerne rinnovati; saremo quindi in grado di aderire pienamente al disegno divino, quell’amor che move il sole e l’altre stelle e guida la nostra esistenza.
È nota a tutti la forza narrativa dell’Inferno -ne abbiamo citato come esempio gli amanti adulteri Paolo e Francesca (Canto V) e Ulisse (Canto XXVI,) condannato tra i consiglieri fraudolenti. La dimensione tragica conferita da Dante alla vicenda dell’eroe omerico si ritrova, come abbiamo detto, nel libro di Primo Levi Se questo è un uomo, testimonianza sull’esperienza del lager, uno dei cui capitoli più toccanti si intitola appunto “Il canto di Ulisse”. Ma questo è solo uno dei moltissimi rimandi e citazioni che la Divina Commedia ha generato nel corso dei secoli, infondendo di sé il linguaggio poetico di artisti che vanno da Boccaccio a Tennyson, da T.S. Eliot a Bassani, da Vittorio Sereni a Seamus Heaney e a Cormac McCarthy, per citarne solo alcuni tra i più noti. L’opera di Dante, la sua esegesi e le sue contraddizioni continuano a far parlare studenti e studiosi di tutto il mondo da 700 anni con immutata passione.
Del Purgatorio si è detto brevemente che è la cantica dell’amicizia e della poesia: Dante ritrova in questi luoghi il valore e la dolcezza degli amici. Vi celebra Virgilio, grandissimo maestro e guida, e vi celebra tra gli altri i poeti dell’antichità. E soprattutto vi celebra la poesia, vero linguaggio attraverso cui l’amore infinito ci parla.
Il Paradiso, sede dei santi e dei beati, ospita Beatrice, donna e portavoce di Dio. A lei la Comedia è dedicata, per lei è stata scritta, grazie a lei Dante è salvato. Il visionario viaggio si conclude con l’intuizione del mistero della trinità: qui la mente del pellegrino viene folgorata dalla rivelazione e qui si chiude il poema, il cui punto finale Dante consegna al lettore.
Siamo in presenza di un cerchio perfetto, anch’esso simbolo del divino: l’inizio della Comedia ne preannuncia la fine (il verbo dell’incipit miritrovai per una selva oscura, al passato, indica che quell’io non è più lì, che ne è uscito, che si è redento, che è risorto). Allo stesso modo, la fine racchiude l’inizio: gli ultimi versi del Paradiso si riferiscono alla volontà divina, vero agente causale dietro l’esperienza della scrittura: Dio,il cui linguaggio è la poesia, induce Dante a compiere, narrandolo, il viaggio.
Nella sessione si sono ricordate recitazioni del poema realizzate da Vittorio Gassman e da Roberto Benigni, nonché l’edizione bilingue italiano-catalano a cura dell’esimio scrittore e poeta Josep Maria de Sagarra (1894-1961).
Il poco che si è detto durante la sessione non può ovviamente riuscire a dare una sia pur minima idea della vastità e complessità di un’opera sulla quale si discute appassionatamente dal XIV secolo, e che comprende ogni aspetto del sapere -la religione, la teologia, la politica, la morale, la letteratura, la geografia, la profezia, la mitologia, l’astronomia, la scienza, la filosofia, la storia. Un poema a un tempo personalissimo e universale che descrive l’esperienza umana in tutte le sue forme, e che coglie in sintesi profonda la questione del libero arbitrio – responsabilità individuale e mistero della grazia, con la resa amorevole a una volontà superiore.
Per chi ha espresso dubbi o domande, non esistono univoche risposte: la Divina Commedia, così come il nostro transito per questa vita, non comprende una sola verità ma molteplici vie che a loro volta aprono altre strade. Soprattutto quando lo scrittore è Dante, interpretarne i passaggi è il lavoro duro e inebriante di ognuno di noi, perché è di noi che ad ogni verso si parla. Come il pellegrino negli inferi e il preside di Dario Crapanzano, noi siamo ciascuno dei personaggi: siamo Ulisse e Beatrice, siamo il ladro e l’incunabolo, siamo il padre, il figlio, la sua effigie e il suo sicario; siamo il cielo, il bugiardo, il poeta, siamo il mistero e la rivelazione.
Ludovica Valentini
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