Il 17 febbraio si celebra la Festa Nazionale del Gatto: noi lo facciamo con alcune pagine tratte da Storie di animali e altri viventi, di Alberto Asor Rosa.
Dal 1990, in Italia il 17 febbraio ricorre la Festa Nazionale del Gatto. Anche noi celebriamo la presenza curiosa e simpatica di questi felini domestici con alcune pagine tratte da Storie di animali e altri viventi, del noto intellettuale e scrittore Alberto Asor Rosa (Roma, 1933).
Pa pensa da tempo (ma quand’era bambino con intensità e convinzione ancora maggiori di ora) che gli animali non siano in nulla inferiori agli umani: sono più eleganti, più resistenti, più coraggiosi, più affidabili, più adattabili, più sinceri, più affettuosi, più fedeli degli umani. Su di un solo punto non può non pensare che gli umani non la cedano agli animali: gli umani guardano il cielo, gli animali no. Persino gli uccelli vivono in cielo, ma non guardano il cielo: guardano diritti davanti a loro o intorno a loro, oppure guardano in basso, verso la terra; ma non guardano verso l’alto, verso il cielo. «Da ciò, – pensa Pa, – deriva la maggior parte dei guai umani. Con le loro quattro zampe, e il loro sguardo sempre orientato verso il basso, gli animali sono solidamente ancorati alla terra, alla sua sempre cangiante e pure fortunatamente limitata perennità. A forza di osservare le nuvole che passano e di scrutare le profondità celesti che si levano sopra di noi, agli uomini – e anche alle donne, diciamo la verità, da questo punto di vista non c’è molta differenza, – gira la testa: perdono il controllo, si staccano, o vorrebbero staccarsi, da terra, arrivano a enfatizzare (anche brutalmente, anche ahimé, bestialmente) la loro diversità. Del resto, si dice comunemente (per significare una situazione psicologica un po’ anormale): “montarsi la testa”; oppure “avere la testa fra le nuvole”. Si potrebbero usare queste espressioni, se gli uomini, e le donne, sapessero guardare solo verso terra, se anche loro, come ad esempio i cani e i gatti, fossero solidamente e tranquillamente ancorati all’unico elemento che li ha generati e gli consente di esserci?». «Dunque, – conclude malinconicamente Pa, – anche quel solo carattere, che potrebbe apparire di superiorità, si risolve in un motivo di preoccupazione e di disfatta per la specie umana. Non è detto che siamo più felici perche siamo in grado di esplorare gli abissi del tempo e dello spazio, quelli di cui, appunto, abbiamo potuto scoprire l’esistenza solo guardando al di sopra di noi, verso il cielo».
A questo punto, immancabilmente, Pa si china ad accarezzarmi la testa. Si potrebbe pensare che voglia rassicurarmi. No, no: è lui che ha bisogno di essere rassicurato. Attraverso il contatto con me riprende il rapporto con il mondo reale, esce dalla stanza dei suoi pensieri, scende dalle nuvole alla terra, – la terra molto amata della sua infanzia, – cerca di calarsi nell’immaginazione limitata ma precisa di un essere vivente senza grandi orizzonti, ma sicuro di esserci, e senza grandi problemi perché c’è. Poi, ahimé, riprende a pensare.
Tratto da Storie di animali e altri viventi, di Alberto Asor Rosa (Einaudi, 2005).
Rispondi