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Da “Le quattro ragazze Wieselberger” i ricordi egiziani di Fausta Cialènte

Nel romanzo autobiografico Le quattro ragazze Wieselberger, Fausta Cialènte (1989-1994) rievoca un’esistenza di spostamenti e viaggi, compreso il lungo soggiorno nel magico Egitto.

Dall’infanzia triestina ai vagabondaggi lungo il Regno d’Italia al seguito del padre, ufficiale dell’esercito regio, fino al matrimonio, agli anni in Medio Oriente, poi di nuovo in Italia e infine in Kuwait: nel romanzo autobiografico Le quattro ragazze Wieselberger (1976), la scrittrice Fausta Cialènte (1898-1994) ripercorre la storia della sua famiglia. Membro della borghesia benestante di Trieste – città appartenente all’allora impero austroungarico – il nonno Wieselberger e le sue quattro discendenti coltivano igenuamente l’ideale dell’irredentismo, assai vivo al principio del ‘900, ma la vita e le guerre disgregheranno il felice nucleo originario. Unici a rimanere intatti nel tempo saranno i ricordi, che attraverso la scrittura fungono da anello di congiunzione tra le varie generazioni; l’ultima, quella dei piccoli nipoti dell’autrice, offre un’immagine di speranza a chiusura del libro. Qui riportiamo una delle bellissime pagine dedicate agli anni alessandrini della Cialènte, ai quali si ispirarono alcuni dei suoi romanzi.

E poi amavo le stagioni sul Delta, quelle lunghe primavere e le lunghissime, umide estati, interrotte solo da poche settimane di piogge e burrasche tra la fine di novembre e i primi giorni di febbraio, quando nel deserto scoppia la fioritura degli anemoni rossi e azzurri che andavamo a raccogliere; quando poi, nel deserto, il sole brucia tutto e sotto il volo dei colombi e delle allodole rimangono a scintillare solamente le seriche pietre. Sapevo che avrei sempre rimpianto la mitezza del clima governato da una dolce umidità marina, e la fioritura del gelsomino d’Arabia fa parte del mio sognante ricordo. L’avevo sempre coltivato sulle terrazze e nei giardini di Ramleh, e mentre leggevo seduta sui gradini di una veranda o ai piedi d’una vecchia colonna di legno sentivo, prima ancora di vederla, la caduta delle lievi corolle acutamente profumate che mi ritrovavo poi fin dentro i capelli; e le fitte collane dello stesso morbido gelsomino gli arabetti mi elargivano per poche piastre, con un sorriso splendente, correndomi dietro sui marciapiedi del boulevard Saad Zaglul. Tutto sarebbe rimasto il simbolo d’un tempo favoloso e illusorio e soltanto la guerra avrebbe avuto lo sciagurato potere di troncarlo.

Tratto da Le quattro ragazze Wieselberger (La Tartaruga, 2018).

3 risposte a "Da “Le quattro ragazze Wieselberger” i ricordi egiziani di Fausta Cialènte"

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