L’estate di San Martino. Per il narratore de Il giardino dei Finzi-Contini, questa breve stagione segna anche l’ingresso nell’eden di Micòl e il nascere dell’amore.
L’estate di San Martino, con il suo sole autunnale, regala luce e ci ricorda il rinnovarsi delle stagioni, la rinascita di ogni cosa oltre l’oscurità dell’inverno. Per il narratore de Il giardino dei Finzi-Contini, questa breve stagione segna anche l’ingresso nell’eden di Micòl e il nascere di un amore che, come sappiamo dal romanzo, con i suoi distacchi e le sue prove inizierà il protagonista all’età adulta. Ne presentiamo le pagine.
Fummo davvero molto fortunati, con la stagione. Per dieci o dodici giorni il tempo si mantenne perfetto, fermo in quella specie di magica sospensione, di immobilità dolcemente vitrea e luminosa che è particolare di certi nostri autunni. Nel giardino faceva caldo: appena meno che se si fosse d’estate. Chi ne aveva voglia poteva tirare avanti col tennis fino alle cinque e mezzo e oltre, senza timore che l’umidità della sera, verso novembre già così forte, danneggiasse le corde delle racchette. A quell’ora, naturalmente, sul campo non ci si vedeva quasi più. Però la luce che continuava a dorare laggiù in fondo i declivi erbosi della Mura degli Angeli, pieni, specie la domenica, in una quieta folla multicolore (ragazzi che correvano dietro al pallone, balie sedute a sferruzzare accanto alle carrozzine, militari in libera uscita, coppie di innamorati alla ricerca di posti dove abbracciarsi), quest’ultima luce invitava a insistere in palleggi non importa se ormai pressoché ciechi. Il giorno non era finito, valeva la pena di giocare ancora un poco. […]
Infinite volte nel corso dell’inverno, della primavera, e dell’estate che seguirono, tornai indietro a ciò che tra Micòl e me era accaduto (o meglio, non accaduto) dentro la carrozza prediletta dal vecchio Perotti. Se quel pomeriggio di pioggia nel quale era terminata d’un tratto la luminosa estate di San Martino del ’38 io fossi riuscito perlomeno a dichiararmi – pensavo con amarezza – forse le cose, tra noi, sarebbero andate diversamente da come erano andate. Parlarle, baciarla: era allora, quando tutto ancora poteva succedere – non cessavo di ripetermi – che avrei dovuto farlo! E dimenticavo di chiedermi l’essenziale: se in quel momento supremo, unico, irrevocabile – un momento che, forse, aveva deciso della mia e della sua vita – io fossi stato davvero in grado di tentare un gesto, una parola qualsiasi. Lo sapevo già, allora, per esempio, di essermi innamorato veramente? Ebbene no, non lo sapevo. Non lo sapevo allora, e non l’avrei saputo per altre due settimane abbondanti, quando ormai il brutto tempo, divenuto stabile, aveva disperso senza rimedio la nostra occasionale compagnia.
Tratto da Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (ed. Feltrinelli, 2012)
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