Mangiarono sulla terrazza di legno sconnesso “Da Luigi”, ma con tovaglia banca e bicchieri a calice di un vetro verde e leggerissimo che si appannò subito al vino d’Ischia ghiacciato. Sentirono il sapore di zolfo di quel vino mischiarsi in bocca al sale amaro del mare e le labbra diventare più dure e come anestetizzate dal bordo gelido e sottile del bicchiere senza peso. Mangiarono cozze al pepe (lei succhiava le cozza con la piccola bocca indurita dal vino freddo) e a quel punto lui la baciò proprio su quelle labbra per sentire se era vero: era vero, le labbra erano indurite dal vino freddo e fuori, intorno, sopra il labbro era rimasto un po’ di sale. Mangiarono un’aragosta enorme: lei masticava rapidamente, con forza, a bocca chiusa; ma sapeva, conosceva le cose che mangiava e il momento in cui le mangiava? L’uomo, che in quegli anni intuiva soltanto, se lo chiese. No, lei non sapeva, era troppo giovane per sapere, aveva molta fame e basta e subito dopo mangiò una mozzarella in carrozza.
Dormirono abbracciati su un materassino su uno scoglio, coperti da un asciugamano di ciniglia blu, con un grande delfino, un bordo giallo e una piccola iniziale. Anche lui dormì (meno), con la guancia appoggiata a quella di lei già un po’ madida; per qualche breve istante si svegliava, sentiva i capelli umidi di lei sulla spalla, una volta sentì che lei nel sonno gli dava due o tre bacini molto piccoli sulla guancia.
Restarono fino al tramonto, si tuffarono ancora nell’acqua senza sole e si asciugarono, poi salirono il sentiero tra i pini a passi veloci, sudando moltissimo. La notte dormirono tra le bianche lenzuola che sapevano odore di aria mattutina, tenendosi per mano come dentro il mare. La finestra era spalancata e l’uomo guardò per molto tempo la luna: era luglio, poi venne agosto, e così passò l’estate.
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