Scesero correndo lungo il sentiero e arrivarono ai piedi dei faraglioni. Lì entrarono in una cabina, appoggiarono maschere e pinne, si spogliarono in fretta nudi e si guardarono chiusi tra le vecchie assi piene di mare e di sale, poi si abbracciarono per un momento e tutti stretti sentirono il loro odore (lei lo annusò tra il collo e la spalla), infilarono i costumi e scesero verso la grande piscina naturale di mare frizzante tra i picchi. Infilarono pinne e maschere molto in fretta, si tuffarono, si guardarono sott’acqua e si presero per mano un momento, poi riemersero. Lei aveva i capelli gocciolanti e flottanti sull’acqua, e ciglia gocciolanti sugli occhi a mandorla e altre gocce sul volto un po’ contratto per il sale dentro gli occhi e per le brevi raffiche gentili di acqua, aria e jodio che il vento soffiava dalla stretta gola della prima roccia. Lui avrebbe voluto dirle: – Come sei splendente – perché il cuore di lei e tutto il suo carattere selvatico splendevano di una grandissima autonomia naturale e solitaria. Ma egli fu geloso di questa autonomia e della sua fortunata bellezza e qualcosa di meschino gli fece dire soltanto -Come sei carina-, ma lei nella sua felice sordità e autonomia marina non udì.
Si tennero per mano e guardarono sott’acqua nelle profondità sempre più buie piccoli branchi di saraghi (più l’abisso sprofondava più lei stringeva la mano di lui), nuotando lenti e come volanti attraversarono il bacino e toccarono con mani di madreperla le prime rocce taglienti del Monacone. Lì si arrampicarono dentro forre e cunicoli fino alla cima e tra grosse lucertole restarono al sole. Poi tornarono a inabissarsi nelle profondita marine, poi riemersero e nuotarono lentamente e raggiunsero il punto da dove erano partiti. (continua)
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