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Raccontare è restituire: “Musica distante”, di Emanuele Trevi (4)

Continua il viaggio nei significati delle virtù cristiane. Emanuele Trevi individua nell’atto di raccontare il gesto che rende finalmente giustizia a ciò che fu perduto. In questo costituisce la Musica distante che ci chiama.

«… solo il racconto, la fatica e la trepidazione del raccontare può restituire dignità all’esistenza offesa da un’ingiustizia.»

GIUSTIZIA. L’autore offre qui alcune delle sue pagine più profonde e toccanti, scegliendo come esempio letterario il racconto I morti, che chiude l’opera Gente di Dublino (Dubliners) di James Joyce. Del resto, tutto il saggio Musica distante si avvale di passi meditati, attenti ma anche poeticamente intuiti, che attraversano i ponti invisibili tra vita e morte, tra esistenza “di qua” e mondo dell’altrove. La scelta delle sette virtù cristiane come viatico per un percorso letterario non può che essere una scelta di confine, ovvero di ricongiungimento, tra ciò che chiamiamo vita quotidiana e ciò che invece assegniamo al regno invisibile delle ombre. E’ sulla vita e sul suo significato in vista dell’inevitabile fine che l’umanità si interroga, e a tali domande Trevi offre riflessioni che affrontano da vicino, modulandola e trasformandola, la categoria ineludibile del tempo.

Ne I morti, il ricordo di un amore di gioventù assale inaspettatamente Gretta proprio al momento di lasciare la casa delle zie dopo un ricevimento. Una musica distante, espressione che dà anche il titolo al saggio di Trevi, arriva alle orecchie della donna attraverso le note di un’antica ballata irlandese. La canzone narra la storia di una giovane sedotta e abbandonata da un uomo ricco, dal quale ha un figlio. Nella speranza di vincere la compassione dell’uomo, la giovane canta sotto le sue finestre sotto una forte pioggia con il piccolo assiderato tra le braccia. Le note della triste ballata riportano alla mente di Gretta Michael Furey, morto dopo aver passato una notte all’addiaccio cantando per lei, sotto le sue finestre, quella stessa antica canzone. Si tratta di una melodia di addio – il giorno dopo Gretta lascerà il villaggio e Michael ne piange la perdita; ma a distanza di anni, il ricordo riapre in Gretta una ferita, data dalla consapevolezza e convinzione che Michael, già malato, sia morto per lei.

Il racconto accorato di quell’amore giovanile che Gretta fa al marito Gabriel costituisce, secondo Trevi, il vero atto di giustizia nei confronti di Michael Furey e della sua vita cancellata. Più precisamente, è nel dolore del racconto che la giustizia può finalmente attuarsi “solo il racconto, la fatica e la trepidazione del raccontare puo restituire dignità all’esistenza offesa da un’ingiustizia”, scrive Trevi. Come contrappunto, l’autore segnala Il procuratore della Giudea di Anatole France: qui Pilato non ricorda chi fosse quel Gesù di Nazareth crocifisso in Galilea, provincia da lui stesso amministrata; a tale indifferenza e alla perdita di memoria non potrà che seguire un degradarsi della giustizia. Invece le lacrime di Gretta, la sua assoluta, commossa sincerità, danno al racconto la forza di restituire nuova vita a chi è scomparso.

«Raccontare una storia significa sempre parlare una lingua che deriva la sua autorevolezza da ciò che non è più, e che torna nel mondo dei vivi affinché essi gli assegnino un luogo.»

(continua)

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