A Carnevale ogni scherzo vale. Così fecero a Roma Rossini, Paganini e Massimo D’Azeglio, futuro primo ministro d’Italia, il giovedì grasso del 1821.
Tra i numerosi aneddoti contenuti nel libro di Gaia Servadio, Gioachino Rossini. Una vita, v’è n’è uno che riguarda uno scherzo di Carnevale messo in scena dallo stesso Rossini con alcuni amici. Prima di lasciare l’Italia, il musicista aveva preso l’impegno di un’opera per Roma, Matilde di Shabran, che aprì la stagione del Carnevale il 24 febbraio 1821. Non solo il libretto ebbe moltissime vicissitudini e rimaneggiamenti, ma il direttore d’orchestra morì per un colpo apoplettico durante le prove. Per sostituirlo, si autopropose Niccolò Paganini. Ecco a cosa condusse l’episodio:
Rossini e Paganini divennero amici. Una notte, nel periodo di Carnevale, i due, assieme ad Antonio Pacini e Massimo D’Azeglio – futuro primo ministro d’Italia e bel homme –, si misero in maschera. Nelle sue Memorie , D’Azeglio ricorda: Erano a Roma Paganini e Rossini, cantava la Lipparini a Tordinova, e la sera mi trovavo spesse volte con loro e con altri matti coetanei. S’avvicinava il Carnevale e si disse una sera: “Combiniamo una mascherata.” “Che si fa?” “Che cosa non si fa?”. Si decise alla fine di mascherarsi da ciechi e cantare, come usano, per domandare l’elemosina. Si misero insieme quattro versacci: Siamo ciechi. Siamo nati per campar di cortesia, in giornata d’allegria non si nega carità.
Rossini li mette subito in musica, ce li fa fa provare e riprovare, e finalmente si fissa di andare in scena il giovedì grasso […] Rossini e Paganini poi dovevano fungere d’orchestra strimpellando due chitarre e pensarono di vestirsi da donne. Rossini ampio con molto gusto la sua già abbondante forma con viluppi di stoffa, ed era una cosa inumana! Paganini poi, secco come un uscio, e con quel viso che pareva il manico di un violino, vestito da donna, compariva secco e sgroppato il doppio. Non fo per dire ma si fece furore: prima in due o tre case dove s’andò a cantare, e poi al Corso, poi la notte al festino.
Quella notte, secondo ci tramandano le memorie, i finti ciechi “raccolsero una bella sommetta”. Rossini, continua Servadio, aveva buoni motivi per cercare di raggranellare del denaro, visto che non gli erano stati ancora pagati i cinquecento scudi promessigli per la Matilde di Shabran.
Ludovica Valentini
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