Una Milano notturna e cupa. Nel romanzo di Antonio Scurati, fa da sfondo ai movimenti di Benito Mussolini. Siamo nel 1919, anno di fondazione dei Fasci di Combattimento.
Milano, inizio primavera 1919
Solo poche strade separano via Paolo da Cannobio, dove ha sede la redazione de Il Popolo d’Italia, il cosiddetto “covo numero 2”, dalla sezione milanese dell’Associazione degli Arditi in via Cerva al civico 23, il covo numero 1. Quando, nella primavera del millenovecentodiciannove, Benito Mussolini esce dal suo ufficio per cenare in trattoria, sono strade fetenti, miserabili e pericolose.
Il Bottonuto è una scheggia di Milano medievale incistata sottopelle alla città del Novecento. Un reticolo di viuzze e botteghe, chiese paleocristiane e postriboli, locande e bettole, affollato di ambulanti, puttane e vagabondi. L’origine del nome è incerta. Proviene forse dalla posterla che un tempo si apriva sul lato meridionale, sotto la quale passavano gli eserciti. Alcuni dicono che la parola, evocatrice di ghiandole tumefatte, sia la storpiatura del patronimico di un mercenario tedesco calato a seguito del Barbarossa. In ogni caso, il Bottonuto è una pozzanghera putrida giusto alle spalle della piazza del Duomo, il centro geometrico e monumentale di Milano.
Per attraversarlo bisogna turarsi il naso. Il sudiciume traspira dalle muraglie, il vicolo delle Quaglie è ridotto a un pisciatoio, la gente è fradicia come le muffe dei cavedi, si vende qualsiasi cosa, le rapine e i pestaggi si compiono alla luce del sole, i soldati fanno ressa agli ingressi dei bordelli. Tutti, direttamente o indirettamente, mangiano sulla prostituzione.
Mussolini cena tardi. Riemerge dopo le dieci di sera dalla tana del direttore – un cubicolo affacciato su un cortiletto angusto, una sorta di budello verticale collegato alla sala della redazione da un pianerottolo a ringhiera – e, accesa una sigaretta, s’incammina di buon passo, volentieri, nella sacca pestilenziale. […]
Via Cerva è, invece, una vecchia strada aristocratica calma e silenziosa. Il tono romantico glielo conferiscono le case patrizie a due piani, aerate da ampi cortili architettonici. Ogni passo risuona nella notte sull’asfalto lucido, smuovendo in piccole onde concentriche l’atmosfera di chiostro. Gli Arditi hanno occupato un locale a negozio con retro di proprietà del signor Putato, il padre di uno di loro, proprio di fronte al Palazzo dei Visconti di Modrone. Non è stato facile procurarsi una casa per quei reduci esagitati che turbano i borghesi aggirandosi in inverno con il colletto della divisa d’ordinanza slacciato sul petto nudo e il pugnale alla cintura. Soldati formidabili quando si trattava di assaltare le posizioni nemiche, preziosi in tempo di guerra ma detestabili in tempo di pace. […]
La trattoria Grande Italia è un locale modesto, unto e fumoso. L’ambiente è dimesso, il prezzo modico, la clientela abituale ma a rotazione. A quest’ora della notte, per lo più giornalisti e teatranti, autori, comici, niente ballerine. Nella cupezza risaltano solo le tovaglie a scacchi bianchi e rossi, sotto i fiaschi di Gutturnio dei colli piacentini. Gli avventori sono tutti maschi e quasi tutti già ubriachi.
Mussolini raggiunge un tavolo d’angolo dove lo attendono tre uomini. È un tavolo appartato, lontano dalle vetrine, da cui è facile controllare l’ingresso. Sulla destra si scorge la saletta riservata da cui proviene il baccano di una tavolata di tipografi socialisti. Quando Benito Mussolini si toglie la giacca e il cappello prima di sedersi, da quella parte per un attimo si fa silenzio. Poi la concitazione aumenta. È stato riconosciuto. Di colpo è lui il centro della conversazione.
Tratto da M. Il figlio del secolo, di Antonio Scurati (Bompiani, 2018).

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