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Michele Serra e “Le cose che bruciano” (2)

Chi non alza mai lo sguardo al cielo, non sa niente della terra che calpesta. Non sa niente nemmeno di se stesso.”

Io conoscevo l’acqua come la conoscono i cittadini, una banale conseguenza del rubinetto, una presenza scontata, una bolletta condominiale. Non la conoscevo come principio, l’elemento madre dal quale tutto origina, l’anima del mondo. E’ la Dea del Movimento, ma anche della Forma: senza il suo impeto non si scavano le valli, senza la sua carezza sparisce il verde, la terra diventa calva, e il mondo non solamente sarebbe arido e sterile – sarebbe informe. Abitando in mezzo ai campi si impara a dipendere dall’acqua. Dipendere: ovvero abbassare la cresta. Si dipende dal sole e dalla pioggia, ancora oggi che ci crediamo chissà che cosa perché portiamo in tasca quattro pixel, si dipende dal sole e dalla pioggia, da nient’altro. Si scruta il cielo, si guardano le nuvole chiedendosi quanta potranno darne, le si vede andare via e ritornare, cambiare di forma e di densità, minacciare cartervie distruttive o promettere pioviggini feconde. Chi guarda le nuvole sta guardando l’acqua, dunque sta pensando alla terra e al proprio destino. Chi non alza mai lo sguardo al cielo, non sa niente della terra che calpesta. Non sa niente nemmeno di se stesso.

Educato dalla campagna ad apprezzare gli elementi che sostengono l’esistenza, Attilio Campi riflette non solo sull’eliminazione del superfluo ma anche sulla totale dipendenza della specie umana dalla Natura. Così, sia che lo si consideri da una prospettiva spirituale o che lo si osservi da un’ottica pragmatica, vivere si rivela miracoloso.

Non invidio chi considera il cibo una normale pratica di sopravvivenza. Gli è sfuggito qualcosa di fondamentale – e di molto gioioso, per giunta. La sopravvivenza non ha proprio niente di normale, è un miracolo estorto alla carestia, alla sopraffazione e alla guerra, che già gratta alla porta con le sue unghie ferrate. Qualora un Dio appena intelligente dovesse giudicarci, il peccato più grave che saremmo chiamati a pagare è la nostra stupida assuefazione alla vita, che è invece una condizione sorprendente, e come tale andrebbe salutata ogni giorno che campiamo.

La narrazione, scorrevolissima, è punteggiata da incontri con personaggi destinati ad impartire al protagonista piccole lezioni morali: Severino, la Bulgara, il giovane Federico e infine il vecchio il predicatore Beppe Carradine, il primo e l’ultimo a parlare ad Attilio di umiltà.

Ludovica Valentini

4 risposte a "Michele Serra e “Le cose che bruciano” (2)"

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  1. Questo era il mio comento ma non mi lo accettano Sono a Madrid senza e senza telefono.

    “L’ho finito nel viaggio a Madrid. Bello, scorrevole. Si può coincidere con quello detto sui personaggi secondari però senz’alto sono più le cose che sono piaciute”

    Viviana

    Enviado desde mi iPad

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    1. Cara Viviana, grazie dei tuoi commenti. Sì, come hai sentito anche tu in riunione, c’è chi, come te, l’ha trovato piacevole e scorrevole, ma non tutti erano convinti rispetto alla parte “filosofica”, che invece io considero significativa.

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