Nel romanzo Albergo Italia, ambientato in Eritrea nell’epoca vittoriana, Carlo Lucarelli (Parma 1960) fa rivivere il personaggio di Conan Doyle nelle vesti di un carabiniere indigeno. E con lui impariamo a dire berghèz, “ovvio”.
Già nel 2008 lo scrittore Carlo Lucarelli (Parma 1960), che spesso ambienta le sue storie nel passato meno esemplare della nostra Storia, aveva pubblicato il romanzo L’ottava vibrazione, incentrato sull’esperienza coloniale italiana. La Colonia Eritrea fu stabilita nel 1890, e gli italiani vi rimasero fino al 1941 quando, nel corso della II Guerra Mondiale, il territorio venne preso dalla Gran Bretagna. Con Albergo Italia, pubblicato da Einaudi nel 2014, Lucarelli torna nel Corno D’Africa e rende un omaggio tutto particolare a Sherlock Holmes. O forse dovremmo dire all’Africa.
Secondo il canone del giallo, anche in Albergo Italia vi è da risolvere un caso di omicidio, collegato alla sparizione di una cassaforte. Delle indagini deve farsi carico il Capitano Colaprico, ufficiale dell’esercito regio appassionato dei romanzi di Arthur Conan Doyle. In questo senso Lucarelli si richiama al diffondersi, in epoca vittoriana, del gusto per il romanzo poliziesco. Nel suo Talking about Detective Fiction, la celebre scrittrice inglese P.D. James afferma: “… a giudicare dal successo mondiale dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle e del Poirot di Agatha Christie, gli anglosassoni non sono i soli a manifestare un robusto appetito per l’intrigo e il mistero.”
Nel 1890, anno di creazione della colonia Eritrea, Conan Doyle aveva dato vita al personaggio di Sherlock Holmes, e Lucarelli ne approfitta per citare, a proposito del Capitano Colaprico, The Sign of the Four (Il segno dei quattro), pubblicato proprio in quell’anno. E’ del 1897 invece il trasferimento della capitale eritrea da Massaua a Asmara, altro dato storico citato nel romanzo:
Se non avesse avuto fretta avrebbe preso addirittura un cammello per fare i pochi chilometri tra Massaua e Archico, ma il governatore stava trasferendo la capitale della colonia ad Asmara, e ci voleva subito anche il comando dei carabienieri reali.
Con il progredire delle indagini emergono altri trascorsi: riaffiora lo scandalo della Banca Romana, scoppiato anni prima, nel 1891, che aveva coinvolto le classi dirigenti del giovane stato italiano.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, però, il segugio inglese ammirato da Colaprico non si rincarna nell’ufficiale italiano ma in un suo subordinato indigeno, lo zaptié (carabiniere) Ogbà. Grazie alla sua sagacia, Ogbà, digiuno di letteratura e poco informato sulle trame che univano mafia e politica in Italia, riesce a scoprire gli indizi del caso. La sua intelligenza discreta e ironica lo pone inoltre al di sopra delle rivalità, così che lo zaptié aiuta in ogni frangente il Capitano. Assicurati alla giustizia i colpevoli, Colaprico traduce in italiano Il segno dei quattro ed offre il manoscritto a Ogbà: “Dici sempre che vuoi imparare a leggere. Prova con questo, vedrai che ti piace.”
Gli era piaciuto. All’inizio aveva dovuto farsi aiutare, poi era andato avanti spedito da solo, e gli piaceva sempre di più. Ma quando era arrivato al sesto capitolo si era fermato a aveva pensato: buàh. Una volta eliminato l’impossibile, diceva questo Sherlock Holmes al suo amico dottor Watson, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. Ezià nateà, questa è mia, aveva mormorato. Lo diceva sempre, lui, quello che sembra impossibile, quando non c’è altra spiegazione, deve essere vero. Con tutto il rispetto, glielo avrebbe fatto presente, al signor capitano. Perché siccome lui non credeva alle coincidenze, i casi erano due: o il signor cpitano gli aveva fatto uno scherzo, o gliela aveva raccontata lui a questo Conan Doye che aveva scritto il libro. Berghéz. Ovvio.
Costellata di espressioni in lingua locale, la narrazione celebra non solo il genere poliziesco ma il personaggio di Ogbà, indigeno povero e geniale. Subalterno nero in un’Africa colonizzata dai bianchi, Ogbà riceve un plauso speciale: dietro le apparenze della gerarchia infatti, nel tandem che ufficialmente dirige, il capitano Colaprico è solo Watson, intelligente sì ma sempre un passo indietro rispetto a Ogbà, l’unico Sherlock Holmes di questa storia.
Ludovica Valentini

Una delle cose interessanti è l’uso della lingua tigrina.
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Lucarelli non delude mai.
Se non avesse tanto da leggere adesso, lo avrei comperato oggi stesso per Amazon per averlo domani.
Come sempre, grazie
Viviana
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E’ una narrazione piuttosto breve, e anche piuttosto sorridente. E poi c’è Ogbà, il genio! Grazie a te della tua partecipazione e di tutto.
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