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Il peso delle verità immaginarie: “La regola dell’equilibrio” di Gianrico Carofiglio

“La corruzione – e in particolare la corruzione giudiziaria – è diversa dalla rapina perché ha a che fare con il potere.” (Gianrico Carofiglio)

“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
(Art. 101 della Costituzione italiana)

Una delle voci più apprezzate della narrativa contemporanea in Italia è senza dubbio l’ex magistrato Gianrico Carofiglio (Bari, 1961), autore di legal triller tradotti in tutto il mondo. La storia narrata ne La regola dell’equilibrio (Einaudi, 2014), verte su un caso dell’avvocato Guido Guerrieri, penalista attivo a Bari, il quale si trova a dover difendere un magistrato sospettato di corruzione. Fin dall’inizio, il romanzo allude alla sempre delicata questione della verità e delle sue contraddizioni:

“– La prima verità disturbante è che molto spesso – certo nella grande maggioranza dei casi – gli imputati, a prescindere dalla presunzione costituzionale di non colpevolezza, sono in tutto o in parte colpevoli dei reati di cui sono accusati. Ovvio, ci sono gli innocenti, ma costituiscono una minoranza.”

Vi è poi la questione dell’equilibrio, parola che riappare più volte nel testo e che dà il titolo al romanzo. Ma a cosa si riferisce lo scrittore?

“C’era un perfetto equilibrio tra dramma e farsa nel crescendo di quella frase, nella metrica di quel monito ascendente che si prestava a essere storpiato nei modi piú surreali. La mia storpiatura preferita era quella di chi, preso dall’ansia della situazione, si faceva ripetere la formula e poi giurava che avrebbe detto tutt’altro che la verità. Cioè quello che accade nella gran parte delle deposizioni, indipendentemente dalla buona fede del testimone.”

Un’interpretazione possibile è quella della necessaria proporzione tra etica –il senso di ciò che è giusto– e deontologia, ovvero il codice di comportamento professionale, secondo cui non si può tradire il propio assistito né divulgare informazioni riservate in virtù del rapporto di confidenzialità che unisce un legale al suo cliente. Con il procedere delle ricerche sul caso del giudice Pierluigi Larocca, infatti, l’avvocato Guido Guerrieri si trova di fronte ad un dilemma da cui non può uscire se non violando il vincolo di riservatezza stabilito con il magistrato.

L’autore però, secondo quanto dichiarato in varie interviste, considera regola dell’equilibrio anche la necessità di riconoscere gli errori commessi e modificare il nostro agire. Secondo Gianrico Carofiglio, infatti, al di là della vicenda narrata nel romanzo e dei casi di giudici corrotti, esiste una tendenza generalizzata, tutta italiana, ad adattare la norma ai nostri interessi particolari, giustificandoci con l’idea che in fondo, nelle nostre azioni non strettamente legali, vi è “un’assenza di danno sostanziale”. Ma siamo assolutamente certi che i nostri comportamenti non danneggino niente o nessuno?

Il romanzo non si esaurisce qui. Sullo scenario della Bari di Gianrico Carofiglio e del suo personaggio Guido Guerrieri, appaiono personaggi inconsueti, per esempio donne come l’investigatrice privata Annapaola Doria, con cui sembra nascere qualcosa…

“C’era una nota di deliberata vaghezza nella sua risposta che mi produsse un’assurda fitta di gelosia. Starò via una decina di giorni? Ma si va via in questo modo? E che diamine! Andava a Roma, a casa di amici, e chissà chi doveva incontrare. Un fidanzato, o piú probabilmente una fidanzata.”

Ma alla fine della gradevole narrazione, La regola dell’equilibrio fornisce comunque, per chi lo desideri, un invito a fare i conti con la coscienza: qual è la nostra responsabilità personale? Siamo del tutto senza macchia od offriamo anche noi un contributo, sia pur minimo, alla causa della corruzione? Ci raccontiamo verità immaginarie per eluderne altre, moralmente più scomode?  

Vale la pena di riflettere.

Ludovica Valentini

Gianrico Carofiglio e l'avvocato Guido Guerrieri a Bari
Carofiglio, avvocato Guido Guerrieri a Bari

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