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Figli e padri: una muta tenerezza reciproca ne “L’isola” di Giani Stùparich

Suo padre gli scriveva con tenerezza: desiderava rivedere l’isola patria, passarvi alcuni giorni in pace, forse gli ultimi, e gli sarebbe stato grato se l’avesse accompagnato lui…

Una muta, reciproca dolcezza tra un padre gravemente malato e un figlio nel pieno della vita: pagine trasparenti come l’acqua dell’isola in cui si svolge il loro ultimo viaggio.

L’isola, di Giani Stùparich (1891-1961), è il racconto di un breve soggiorno, presumibilmente su un’isola dell’Adriatico prossima all’Istria, dove un ex marinaio affetto da un tumore in fase avanzata decide di trascorrere due settimane insieme al figlio trentenne. I due si sono visti poco negli anni anteriori: il padre è stato spesso lontano per i suoi viaggi, il figlio ha scelto di vivere in montagna. Ma il loro incontro e i pochi giorni che passeranno insieme sono soffusi di un affetto profondo, narrato soprattutto attraverso le riflessioni dei due personaggi:

Codesta preferenza non la capiva: gli eran parse sempre malinconiche le montagne. Ma suo figlio era diverso; di questo doveva tener conto. E che avesse accettato subito di trascorrere quei pochi giorni al mare, per fargli compagnia, lo commoveva.

Suo padre. La testa, rotonda, coi capelli corti e radi, s’ergeva orgogliosa sul busto; sotto la giacca e i calzoni sbattuti dal vento il corpo reggeva saldo e diritto. Chissà da quanto tempo era là, a seguirlo con lo sguardo, in silenzio. Gli parve più alto, in tutta quella luce, più giovane.

Con pudore e quasi senza parlare, i due uomini si osservano e si scoprono a vicenda:

Si sentiva legato a quel figliolo, che aveva scoperto così per caso: ed era stato come se avesse scoperto qualche cosa di se stesso che non conosceva.

La stanza in cui era penetrato, gli rivelava qualche cosa d’intimo nella vita di suo padre, quale egli non avrebbe saputo immaginare. Conosceva suo padre tra gli altri uomini, lo conosceva nella relazione con sé; ma come egli fosse da solo a solo, lo vedeva in parte solo ora.

Mentre il male che sta straziando il corpo del padre avanza, manifestandosi nelle piccole azioni quotidiane, il figlio vive il conflitto tra la necessità di risparmiare al genitore qualsiasi umiliazione e il bisogno di sincerarsi, di affrontare a parole la questione dell’incurabilità della malattia. Ma come dire: -Stai morendo- a chi si ama? La scrittura di Stùparich coglie magistralmente la tensione interiore di chi vorrebbe comunicare e non può, così come il tentativo da parte di entrambi i personaggi di regalare ciascuno all’altro momenti di gioia anche a costo di fingere, sapendo che la morte è in agguato.

Non mancano descrizioni piene e luminose dei luoghi; l’isola è anche un ritorno all’infanzia e all’adolescenza, un tempo felice ormai lontano:

Amava specialmente certi angoli piantati a ulivi, aspri e sassosi; profumati di sale e di mentastri, battuti dai venti, con un gran mare dinanzi e alle spalle un cielo senza fine. La parte selvaggia, dove non c’erano né ville né palme, gli piaceva di più, coi piccoli e asciutti fiori delle salvie e con gli irti ginepri: dove il mare penetrava sonoro tra le scogliere o s’ammorbidiva in brevi dolcissime insenature.

E alcuni passi riecheggiano il viaggio di Odisseo, raccolto naufrago dai Feaci o forse già sui lidi della sua Itaca:

Quella distesa di soffici chiome smeraldine, ondulate dal vento, sonore delle voci delle cicale, gli dette l’impressione di essere giunto, dopo faticoso errare, all’approdo d’una terra di pace e di sogno.

L'isola, di Giani Stuparich

Ma la pace ha breve durata. Sulle coste invase dal sole incombe la tragedia, e la vacanza si conclude con il ritorno precipitoso in città e la consapevolezza ormai definitiva di ciò che riserva il destino. Un’ultima immagine coglie in lontananza il luogo, reale e archetipico a un tempo, da cui si parte e a cui non c’è ritorno:

Il figlio vide l’isola impicciolire, svanire all’orizzonte nell’immenso bagliore del mare. Fu quello il primo momento ch’egli ebbe precisa e semplice la coscienza di che cosa perdeva perdendo suo padre.

Pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1942, L’isola fu considerato da molti critici il capolavoro di Giani Stùparich e tra le cento pagine più belle del ‘900.

Ludovica Valentini

L'isola, capolavoro di Giani Stùparich

3 risposte a "Figli e padri: una muta tenerezza reciproca ne “L’isola” di Giani Stùparich"

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    1. Sono arrabbiatissima! Ho scritto qualcosa anche su questo libro, ti dicevo che senz’altro lo metto sul listino dei libri che comprerò. Ho scoperto la ragione per la quale non sono stati pubblicati e cercherò che WordPress me gli restituisca. Adesso son a Calella però da lunedì a giovedì sarò a Bna.; spero che troviamo il momento per vederci Un abbraccio,

      Viviana

      Enviado desde mi iPhone

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